Ibridifogli

di Antonio Baglivo

Il gesto sovversivo futurista, che all’inizio del secolo scorso, scompaginò e scompigliò la simmetrica geometria tipografica e le rigide regole della sintassi, aprì di fatto la strada a nuove e più radicali possibilità d’intervento sulla cosa “libro” che, una volta spogliato della sua sacrale funzione di totem culturale, venne assunto dagli artisti come luogo potenziale di azione in cui poter  agire liberamente. Una sorta di zona franca, destinata a contenere le incursioni e le razzie di quegli artisti che ne rivendicavano il controllo, allo scopo di ribadire una propria autonomia e affrancarsi dalla condizione subordinata di secondo autore, gregario o illustratore di testi scritti da altri. Da allora l’artista, senza mai distruggerlo completamente, agisce sul libro operando una sorta di demolizione per scomparti, di smontaggio e di negazione ma anche di recupero, reinvenzione ed esaltazione, sia dell’oggetto in sé che del suo contenuto. Dopo averne azzerato lo spazio vitale cancellandone o alterandone i segni canonici della scrittura, lo rivitalizza stratificando in esso ogni genere di esperienza e di linguaggio. Così la scrittura insidiata e corrotta, snaturata e svuotata, frammentata fino a scomparire del tutto,  lascia campo libero ad un testo altro, senza parole,  “illeggibile”, lontano, sia nella  forma che nella funzione, dal testo scritto comunemente inteso.  Allo stesso tempo anche il libro come oggetto, come volume fatto di pagine di carta, viene messo in discussione e trasgredito. La carta viene sostituita da altri materiali o, addirittura, le pagine scompaiono e del libro rimane solo la forma, lo scheletro o a volte solo la sua idea sulla quale e nella quale l’autore può giocare con la massima libertà. E così, da oggetto sfogliabile, contenitore e amplificatore di sapere si trasforma in un oggetto plastico, immobile e impenetrabile. È sufficiente, quindi, una scatola col coperchio incernierato o due tavole appaiate per evocarne l’essenza e la funzione. E sarebbe oltremodo riduttivo immaginarlo come mero supporto di sperimentazioni, perché è il concetto stesso di libro, con tutti i suoi significati nascosti e manifesti, ad entrare a far parte del gioco, affermandosi come sostanziale elemento intorno a cui si organizza la ricerca e come medium proteiforme che si offre alla creatività dell’artista agevolandone il processo di oggettivazione e di diffusione delle proprie istanze. Una natura ibrida, quindi, fecondata da un’esuberanza fuori misura, senza regole e senza confini, che ne ha di fatto complicato un possibile, univoco approccio sistematico, rendendo oltremodo difficoltoso descriverne la fisiologia, o tracciarne una linea di lettura teorica praticabile e condivisibile. D’altra parte, personalmente, trovo che l’idea di incasellare il libro d’artista in una rigida definizione sarebbe, di per sé, un’operazione triste e limitante. Il libro d’artista, quindi, è e resta un’idea inarrivabile e indefinibile, sfuggente e misteriosa, che cambia continuamente pelle e sembianze, che continua a generare una quantità infinita di forme e ad offrire innumerevoli possibilità di intervento, che continua a contagiare trasversalmente operatori, editori e galleristi, ad attivare biblioteche e musei e formare collezioni e archivi sia  pubblici che privati.

Gran parte di queste esperienze sono ordinate in questa mostra che, a scanso di equivoci, non si propone alcuna missione pedagogica e non vuole indicare modelli, né  percorsi di ricerca preferenziali a cui riferirsi. Così come non aspira a suggerire argomenti, né a dettare un definitivo assunto teorico del fenomeno, tantomeno fornire dati certi per ipotizzarne una cronologia. I libri qui esposti rappresentano solo se stessi, singoli oggetti facenti parte di una raccolta eterogenea, cresciuta nel tempo e frutto di acquisizioni o di donazioni spontanee. Libri e non libri, gran parte dei quali ancora provvisori, in cerca di una collocazione, portatori delle proprie specificità e dei propri valori ma anche dei propri limiti e delle proprie contraddizioni. Una raccolta che si è formata, per così dire, dall’interno, perché mi ha coinvolto in prima persona, innanzitutto come autore e solo in un secondo momento come collezionista, a partire dagli anni Settanta, con le prime esperienze condotte in quella officina virtuosa che fu il Laboratorio Dadodue di Salerno. Uno spazio aperto, che fin da subito s’impose all’attenzione di artisti e operatori culturali, sia nazionali che internazionali, come punto di riferimento alternativo e laboratorio di idee e di progetti, nel quale orbitarono giovani artisti  accomunati  dall’idea di penetrare e scardinare l’indifferenza circostante. Solo dopo qualche anno però (1986) e solo dopo sporadici tentativi, perlopiù legati ad iniziative individuali, prese vita la prima collana di libri d’artista autoprodotta che si chiamò  Latitudini: una serie di pubblicazioni in fotocopia pensate e realizzate da alcuni artisti vicini al Laboratorio di via XX Settembre.  Un’attività editoriale che crebbe negli anni a venire con le edizioni Dadodue, grazie anche alla  preziosa collaborazione di Cosimo Budetta e Osvaldo Liguori e alla costante presenza di Gerardo Pedicini. Un interesse e una condivisione che qualche anno dopo trovò concretezza nella mostra internazionale di libri d’artista In forma di Libro allestita, per la prima volta, nei locali del “Laboratorio” e ospitata successivamente nel metafisico scenario dei giardini del castello d’Ayala di Valva.

Una raccolta che oggi conta circa ottocento titoli tra libri a stampa, libri in copia unica, libri oggetto e plaquette in tiratura limitata. Tra questi alcune opere prodotte tra gli anni Sessanta e Settanta, espressione della vivacità creativa di quei gruppi di lavoro che movimentarono e rigenerarono la pratica della poesia e non solo, segnando con un inesauribile susseguirsi di laboratori e di movimenti la vita delle nuove avanguardie del Novecento. Mi riferisco ad autori come Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Luciano Ori, Lucia Marcucci, attori principali, insieme a Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti e tanti altri, della poesia visuale in Italia. Così come a Mirella Bentivoglio, artista e teorica, figura di spicco del movimento di poesia concreta in Italia e non solo, che ha lavorato sia sul corpo della scrittura che sull’aspetto oggettuale del libro. Non meno rilevante poi la presenza di autori come Magdalo Mussio, Lucio Saffaro o ancora del poeta e musicista francese Henri Chopin, di Ugo Carrega, Emilio Isgrò e Adriano Spatola, quest’ultimo editore e animatore della rivista di poesia TamTam e della rivista-cassetta di poesia sonora Baobab, uno degli autori più amati e apprezzati della poesia concreta italiana. Una selezione di opere oramai come particelle residuali di quel brivido culturale che percorse l’Italia negli anni Settanta  a cui vanno ad affiancarsi alcuni “libri-opera” di artisti il cui lavoro è formalmente e concettualmente assimilabile, più che alla scrittura e quindi alla poesia, ad altre forme espressive come la grafica, la pittura e la scultura. Tra questi, artisti di valore internazionale come Joe Tylson, Valeriano Trubbiani, Enrico Bay, Gianfranco Baruchello, Emilio Tadini,  per i quali il libro d’artista rappresenta solo una variante, una modalità alternativa con cui dare forma al proprio immaginario.

Ma se per alcuni l’esperienza “libro” si risolve in un esercizio occasionale e, per così dire, marginale ad una principale linea poetica, per altri invece rappresenta una ricerca continua e una pratica quotidiana, primaria, che ingloba ogni aspetto del proprio fare artistico. Autori che hanno assunto il concetto “libro” come strumento  privilegiato della comunicazione, in ogni sua variabile ed in ogni sua possibile applicazione: Luca Maria Patella, Augusto Concato, Elisabetta Gut, Bruno Conte, Alfonso Lentini, Rita Vitali Rosati, Fernando Andolcetti, Teresa Pollidori, solo per citarne alcuni.  Gli stessi moventi che sostengono il lavoro di Giancarlo Pavanello, ideatore e curatore delle edizioni Ixidem di Milano, o che animano l’impegno di Alfonso Filieri, fondatore e curatore delle edizioni Artein e della collana Estremo sfogliabile di Roma. Da non dimenticare poi alcuni tra gli autori che hanno dato vita e movimentato la linea sperimentale napoletana a partire dagli anni Sessanta, poeti e teorici come Luciano Caruso, Gerardo Pedicini, Franco Cavallo e, non ultimo, Carmine Lubrano, poeta ed editore che con la rivista-laboratorio Terra del Fuoco e le edizioni Poetry Market, continua a tenere vivo il dibattito sulle nuove frontiere della poesia, non solo a Napoli. E la lista continua con i libri d’artista provenienti da quell’area complessa ed eterogenea e, al tempo stesso, estremamente viva e propositiva, multiforme e multicolore, conosciuta come Mail Art o arte postale, a cui fanno riferimento artisti di tutto il mondo, di diversa provenienza e di varie tendenze, tra cui Heinz Gappmayr, Bartolomè Ferrando, Luc Fierens, Jurgen O. Olbrich, solo per citarne alcuni, e gli italiani Marcello Diotallevi, Ruggero Maggi, Mauro Molinari, Giovanni Bonanno, Gino Gini, Fernanda Fedi, Vittore Baroni, Alberto Vitacchio, Carla Bertola e l’indimenticato maestro dell’autocelebrazione Guglielmo Achille Cavellini.

E naturalmente non possono mancare le opere in forma di libro pensate e realizzate da artisti orbitanti nel concettualismo e nell’arte povera come Vincenzo Agnetti, Giulio Paolini, Giuseppe Penone o Franco Vaccari, Antonio Paradiso e di architetti sperimentali come Enzo Mari, Ugo La Pietra o Bruno Munari, maestro d’arte e di vita che ha distribuito il suo genio creativo attraverso l’essenzialità e il rigore dei suoi gesti e la semplicità dei suoi ragionamenti: riferimento primario per intere generazioni di artisti che sul suo insegnamento si sono formati.

La frequentazione del libro come struttura catalizzante del pensiero creativo, quindi, anche se intesa come esperienza occasionale, ha trovato i suoi spazi e la sua affermazione in modo diffuso in ogni ambito artistico, imponendosi come pratica flessibile, modellabile secondo le esigenze di ognuno.  

Un fenomeno non quantificabile che ha prodotto e continua a produrre una infinità di oggetti estetici. Quelli di carta, il più delle volte realizzati in copia unica, tanti dei quali sono presenti in questo archivio e in questa mostra: taccuini dipinti, diari e racconti minimi, carte impresse e intagliate, pitture sfogliabili come quelle di Ilia Tufano, Lorenzo Cleffi, Adriano Paolelli, Pietro Falivena, Romeo Basso, Mario Francese, Mario Ranieri, Generoso La Sala, Tea Marciano, Rudolf Keimel, Luisa Bergamini, Pino Latronico, Loredana Gigliotti, Calogero Barba, Augusto Ambrosone e Gerardo Nigro. Carte alle quali vanno ad affiancarsi i libri-oggetto realizzati con le tecniche ed i materiali più disparati, dove il dato materico diventa l’aspetto predominante della comunicazione. Libri di piombo, di stoffa, di cartone e di sabbia, di legno e di plastica, libri saldati, scolpiti e inchiodati, smontati e ricostruiti da artisti come Anna Bertoldo, Marco Raiola, Salvatore Pepe, Vittorio Fava, Rosaspina Canosburi, Antonio Izzo, Edoardo Ferrigno, Gianni Rossi, Enrica Capone, Iginio Iurilli, Rosario Mazzeo, Giuseppina Riggi, Antonio Di Rosa e tanti altri.  

Il libro d’artista quindi inteso come medium versatile che sembrerebbe destinato a soddisfare le esigenze poetiche e l’immaginario di un singolo artista. Ma come vedremo non sempre è così. In molti casi lo spazio libro può anche essere condiviso con altri autori, come poeti e scrittori, per farsi luogo di confronto e dialogo tra linguaggi diversi. Si tratta di un  modello di “libro-opera” che conserva le caratteristiche di un multiplo d’arte, realizzato il più delle volte in forma di plaquette, composto di poche pagine, prodotto in pochissime copie numerate e firmate, che alcuni artisti realizzano in proprio e circuitano con una propria etichetta. Un contenitore in cui coesistono e si specchiano esaltandosi, se pur in totale autonomia, sia il testo scritto che quello iconico. Librini essenziali, realizzati con cura da piccoli “editori” illuminati e raffinati tra i quali è utile ricordare Alberto Casiraghi con le edizioni Pulcinoelefante da Osnago, oramai  universalmente noto al popolo dei bibliofili; Gaetano Bevilacqua con le Edizioni dell’ombra da Salerno; Cosimo Budetta con Ogopogo da Agromonte; Giordano Perelli con le Nuove carte da Fano; il sottoscritto con gli Ibridilibri e così via.

Un valore particolare assume in questa raccolta la sezione dedicata alla fotografia o, per meglio dire, al libro d’artista realizzato da fotografi, che non va confuso con il libro-catalogo di fotografia

(anche se è molto difficile individuare una linea di confine netta tra una forma e l’altra) ma va inteso come un’opera indivisibile, pensata e costruita su un progetto poetico esclusivo, laddove l’immagine si fa testo per raccontare storie ordinarie o straordinarie, messa in scena di astrazioni visionarie e surreali, attimi di intensità e di empatia, fremiti congelati in un battito di ciglia. Libri speciali realizzati, per l’occasione, da fotografi speciali come: Giovanni Canton, Gaetano Paraggio, Pio Peruzzini, Franco Sortini, Jacopo Naddeo, Vito Falcone, Gianni Grattacaso, Salvatore Lembo.  

E, nella terra della maiolica, non potevano mancare opere-libro realizzate in ceramica. Opere di polvere e acqua, indurite e invetriate dal fuoco, in un rimando di azzardate trasparenze e magie di materie sensibili. Testimonianze di un gruppo di maestri  ceramisti che ha voluto e saputo mettersi in gioco arricchendo sia questa raccolta che questa mostra con opere uniche ed irripetibili. Libri che forse non sono più libri o che forse non lo sono mai stati. Forse oggetti. Certamente segni di sapienza e di cultura che artisti come Enzo Angiuoni, Carlo Catuogno, Giuseppe Di Lorenzo, Nello Ferrigno, Ignazio Collina, Giuseppe Facchinello, hanno saputo trasferire nel corpo della materia ceramica.

A questi e a tutti quelli che hanno aderito all’iniziativa va il segno sincero della mia gratitudine.